Una viaggiatrice qualunque in un paese straordinario
Mag 14 2019"Erano mesi che pensavo a come raccontare il mio viaggio con GTV in Vietnam ed erano mesi che non mi riusciva di trovare una strada, semplice e incisiva, che invogliasse altri a percorrerla dopo di me.
Come sintetizzare dodici giorni vissuti da spettatrice e protagonista nello stesso tempo, di vita in altre vite?
Poi un giorno in un mercatino di libri usati, mi capita tra le mani un raccontino sbiadito e ingiallito dal tempo… è un’intervista a un viaggiatore solitario.
La fantasia subito decolla e mi lascio trasportare da questa immaginaria intervista, proiettandomi in un dialogo a due, mentre il pullman traballante percorre le strade polverose e l’aria calda e appiccicosa della sera avvolge le campagne vietnamiti."
Anna Capitanio
Cosa ti ha spinta ad andare a visitare il Vietnam?
Prendo in prestito le parole a Rumiz, “ho messo il mio zaino accanto alle rotaie, vagabonda da nuova frontiera, e son partita”. Una partenza, un inizio che ha portato una moltiplicazione di inizi; ma in quella mattina di ottobre, avevo la sensazione che da me fossero in partenza treni diretti verso mete sconosciute e, lasciando la stazione, si perdessero quasi senza destinazione, senza arrivare da nessuna parte; eppure tutto questo mi suggeriva la libertà di poter arrivare ovunque.
Ma perché quella volta i miei treni viaggiassero proprio in Vietnam, l’ho riscoperto in una polaroid della mia infanzia.
Le parole di Joan Baez e Bob Dylan nelle loro canzoni melanconiche, che la giovane zia comunista anni ’70 mi faceva ascoltare nella sua cameretta mentre mi mostrava immagini della contestazione contro la guerra in Vietnam, erano per lei motivo di sogni ancora da venire, di discussioni mai finite, di progetti per poter cambiare il mondo.
Le mie orecchie e i miei occhi di bambina la seguivano affascinati e spaventati e sognavo il silenzio e il profumo dell’erba per soffocare quella tempesta. Un giorno ci andrò, mi dicevo, per vedere, per capire, per conoscere i vietnamiti che ormai erano diventati i miei eroi. E non ho mai smesso di crederci.
Crescendo, leggendo e ascoltando i racconti di viaggio degli amici, il mio progetto diventava sempre più seducente e reale; agli ideali nebbiosi si sono aggiunte le fotografie della natura del nord del Vietnam, affascinanti da riempire gli occhi, dei volti dei vecchi sotto il cappello a punta, dei bambini con le ciabatte e le bici scassate, delle risaie, delle città caotiche… dovevo partire!
Perché hai scelto la proposta di GTV?
Non potevo partire da turista con un qualunque tour operator di viaggi organizzati, non avrei capito veramente il Vietnam, non ci sarei entrata dentro.
Non volevo partire da sola, mi sarei persa sicuramente, oltre che nel vero senso della parola per carenza innata di bussola interiore, mi sarei persa sicuramente una parte dell’essenza che andavo cercando, concentrata sull’organizzazione logistica! Avevo già chiesto a due o tre amici, ma nessuno aveva risposto al mio appello.
E proprio allora mi è capitato tra le mani il volantino della proposta GTV “Promuoviamo il turismo in Vietnam come forma di sviluppo sostenibile… un turismo che rispetta e protegge l’ambiente ed evita di intaccare la natura, che rispetta le popolazioni locali e valorizza la loro cultura, che sostiene le iniziative di cooperazione allo sviluppo…”. Attratta come una calamita dal ferro, ho risposto immediatamente.
Vivere la cultura locale, incontrare la gente, entrare in contatto con tutti i volti di questo paese era proprio quello che stavo cercando. In più, fedele al mio ideale di viaggio, avrebbe dovuto essere un viaggio attivo, con tour in bicicletta, camminate, visite culturali… e la proposta GTV era tutto questo.
Com'è stato l'impatto iniziale con il paese? E come è cambiato nel corso del viaggio?
Arriviamo ad Hanoi il 23 ottobre, con un clima caldo e umido. Ci sono 27° e un buon profumo di spezie; il cielo è coperto e una pioggerella sottile rinfresca la pelle resa secca dall’aria condizionata dell’aereo.
Tìen, la nostra guida locale, ci viene a prendere proprio come nei film: bandierina italiana su un’astina sottile protesa verso il soffitto asettico dell’aeroporto. È giovane, uno studente appena laureato, ha passione, amore per il suo paese e professionalità. Il pullman parte e il naso si appiccica subito al finestrino. Un mausoleo nel mezzo della campagna, e Tìen ci racconta dei cimiteri, dei riti e delle sepolture; una musica risuona da un locale, ed ecco i primi racconti sui matrimoni e le sue tradizioni; attraversiamo il Fiume Rosso della città di Hanoi, e ci svela che il nome significa “oltre il fiume”… La strada continua a scorrere e con lei scorrono le parole, starei ore ad ascoltarlo! Sembra di alzare le tapparelle al mattino in un luogo completamente nuovo, spalancare le finestre e lasciare entrare la luce.
Trascorrono i primi giorni e mi accorgo, però, di essere ancora affacciata a quel finestrino e di guardare il mondo intorno a me attraverso le pagine stereotipate delle mie aspettative di occidentale, nemmeno troppo informata.
Ore 7 di mattina, lezione di Tai Chi con un maestro vietnamita sulle sponde del “Lago della spada restituita”, che secondo la leggenda venne usata dall'imperatore per combattere la dinastia Ming. Fusi, e confusi, tra la gente comune che la mattina presto si incontra in riva al lago, copiamo il maestro; respirare… in… out…, lentamente, movimenti del corpo in sintonia col respiro, fare il pieno di energia, trattenerla, liberarla quando serve. Quell’aria respirata nell’alba del giorno che inizia è vento nuovo, è energia che mi abbraccia e mi solleva. Rompo gli ormeggi e mi apro davvero al Vietnam.
Oltre al paesaggio, scopro le tradizioni, la storia, la cultura, ma soprattutto scopro la gente, che cambia come i fiumi che attraversano il paese; il Fiume Rosso, quello che passa per Hanoi, è impetuoso e imprevedibile e ha forgiato i caratteri dei vietnamiti del Nord, determinati e imbattibili. Il Mekong, nel Sud, è vasto, ricco di limo e generoso tanto da donare le sue caratteristiche alla gente del Delta, sempre sorridente, operosa e aperta al mondo. Lo scopro passo dopo passo, quando tra le mani ho solo pagine bianche da scrivere e pezzettini di un puzzle che pian piano compongo, trovando loro la giusta collocazione.
Son partita credendo che la guerra del Vietnam avesse lasciato nella popolazione un senso di chiusura nei confronti degli occidentali, soprattutto degli americani, invece a lasciarmi senza parole è stato proprio l’atteggiamento dei vietnamiti, che si sono rivelati ai miei occhi uno dei popoli più ospitali in assoluto.
Non mi aspettavo di trovare una popolazione cosi colta e civilizzata, una tale bellezza di paesaggi da mozzare il fiato, il fascino delle tradizioni e la modernità che caratterizza le città pronte a proiettarsi nel futuro.
Hai avuto contatti diretti con la popolazione? Come sono stati?
Viaggiare in Vietnam per me ha significato anche incontrare persone che mi sono entrate nel cuore e che non dimenticherò tanto facilmente.
I vietnamiti sono profondamente fieri del loro paese e non hanno alcuna intenzione di svendere la loro identità e la loro storia per assecondare il turismo, ma al tempo stesso credono profondamente nell’ospitalità e vogliono accogliere i visitatori, rispettosi e nel migliore dei modi. Così è facile ricevere accoglienza e inviti anche in una delle nelle zone più rurali del paese, come ad An Lac nel distretto di Son Dong. Qui un apicoltore, il signor Tiền, ci apre casa sua; è una casa rustica, nel mezzo della campagna, semplice e povera; ci offre miele e grappa di riso e beviamo con lui fino a sciogliere le parole e scaldare le risate. Intorno gli animali, la loro ricchezza, scorrazzano liberi: maiali, cervi, ma anche galline sugli alberi… vicino la diga costruita con il progetto di GTV. Arriva la moglie in sella al suo motorino; è vestita elegante, è stata al lavoro nella città e ora si unisce a noi. Scopro una volta di più che qui le donne sono attive protagoniste del lavoro e della vita del paese proprio quanto gli uomini.
Ma un volto mi è rimasto stampato nel cuore più di tutti. Nel villaggio di Mai Chau, immerso nelle risaie a ovest di Hanoi, incontriamo un’anziana donna Thai che ci accoglie nella sua casa palafitta. Ha 82 anni, marito e figli nel mucchio dei caduti delle guerre cambogiane e americane, e denti blu, retaggio di una cultura di iniziazione che toglieva alle adolescenti lo smalto dai denti per colorarli di blu o rosso.
Osservo quella donna, piccola, minuta, accartocciata come una foglia di banano nelle rughe della sua pelle; eppure il suo sorriso blu sdentato riempie la stanza di energia inebriante e da sola sembra sorreggere tutta la casa palafitta.
C’è qualcosa che ti ha colpito e che secondo te può riassumere in sé l'essenza del viaggio?
Sfoglio mentalmente l’album delle mie fotografie interiori alla ricerca di immagini. Dopo un po’, infatti, sembrano sbiadirsi, imbiancate da neve di polvere e coperte da altre immagini, altri ricordi. Ma in realtà sono sempre lì, a comporre la stratificazione del mio cammino, e basta un soffio per riportale ai colori naturali. Il traffico dei motorini.
Ad Hanoi e Saigon i semafori sono pochi e in ogni caso non vengono rispettati. Ad ogni incrocio centinaia e centinaia di motorini, come un fiume in piena, continuano a scorrere impetuosi e non si fermano anche se tu sei lì sull’argine, pronto a guadare; così tocca a te farti strada. Esitare non serve, al prossimo semaforo verde non cambierà nulla. Allora che fare? Continuare ad aspettare un ipotetico momento senza traffico o piuttosto lanciarsi in strada, con occhio vigile, misto ad un senso di fiducia? Opto per la seconda. Attraverso la strada quasi con ansia, facendo slalom tra i motorini e i clacson frastornanti nel traffico selvaggio di Hanoi. Cinquant’anni fa, chissà, magari una donna attraversava questo stesso incrocio facendo slalom tra le macerie e i fischi assordanti nelle bombe selvagge di Hanoi.
Mi fermo un attimo a pensare. La verità è che ci vuole un pizzico di coraggio nella vita. Buttarsi, soprattutto nelle situazioni che ci spaventano o che non conosciamo, fa paura, ma a volte è l’unico modo per andare avanti. Perciò, non passare troppo tempo ad esitare, buttati… andrà bene. Anche perché il gruppo è già avanti e non mi aspetta!
Lo street food e il primo Pho.
Ho scoperto che il cibo vietnamita è buonissimo e il modo migliore per assaporarlo veramente è quello di fermarsi a mangiare per strada, assieme alla gente del posto, seduti sugli sgabellini di plastica rossi lungo i marciapiedi, appoggiati al massimo su piccoli tavolini. All’apparenza sembra spartano, ma è autentico, è divertente, è la vera essenza del paese.
E come dimenticare il primo il Pho? Caldo, saporito, assaggiato all’alba di una mattina in giro ad esplorare Hanoi. È uno dei piatti simbolo del paese, zuppa bollente di noodles in brodo di manzo o di pollo, arricchito con spezie, erbe o germogli di soia. Ogni momento è quello giusto per un Pho, ma i vietnamiti lo servono come prima colazione, tant’è che i venditori si svegliano la mattina molto presto e all’alba sono già per strada.Scatto con gli occhi la mia ultima istantanea prima di salutare questo paese proprio in un angolo di strada, dove una coppia vende riso bianco con vari ingredienti da abbinare a discrezione. Indicando con il dito, che parla la lingua internazionale, compongo il mio piatto, ed è perfetto! Usiamo le bacchette, noi occidentali, lasciando le forchette ai locali seduti accanto, in uno scambio involontario e curioso di culture.Il museo della guerra di Saigon
Ogni commento risulterebbe troppo convenzionale. Parlano le immagini, quelle foto scattate da chi era “lì e allora”, da chi fermava con l’occhio dell’obiettivo quello che l’occhio umano vedeva e fermava per sempre nella memoria.
La storia del Vietnam che si ripete con effetto domino, tra una guerra e quella successiva, tra le sofferenze e la ricerca continua, determinata, instancabile di pace e indipendenza. Gli USA orgogliosi e potenti, senza scrupoli né verso il popolo vietnamita, né verso i giovani soldati americani che combattevano una guerra non loro, non capita, lontana dagli ideali e lontana dal proprio paese, cattivi per paura. Vietcong invisibili, instancabili, flessibili come il bambù, aggrappati ai propri ideali e al proprio paese, spietati per sopravvivenza. La meditazione in Pagoda.
Chiudo un attimo gli occhi e mi vedo seduta a gambe incrociate a meditare con i monaci in una pagoda nella città di Saigon, ed è ancora un fresco soffio di vento. Mentre me ne sto lì a “dover” pensare, e non so bene a cosa pensare, penso al tempo… In questa parte di mondo, durante la stagione umida, il tempo è capace di cambiare innumerevoli volte in un’ora. L’alternanza di sole, nuvole, pioggia fine e forti temporali è da mettere in conto ogni giorno e, a pensarci bene, è proprio come succede nella vita; periodi belli e solari seguiti da momenti bui e difficili, in un susseguirsi di emozioni, sfide ed opportunità.
Trova uno spazio per ripararti quando fuori diluvia - ripetevo a me stessa - ma sii subito pronta a goderti il sole quando tornerà a splendere. Qui ho capito che nella vita è proprio il caso di provare ad essere felici, e lo si può fare con semplicità.
A chi consiglieresti di intraprendere questo viaggio?
Prima di tutto lo consiglio a me stessa, perché non vedo l’ora di ripartire ancora con GTV per le prossime proposte di viaggio!
E poi a chi viaggia zaino in spalla, dorme in ostello e utilizza mezzi pubblici per gli spostamenti, impiegando tantissime ore (o quasi tutte le notti) per spostarsi da un luogo all’altro; non toglie autenticità all’esperienza, ma riduce i tempi e amplifica i momenti di incontro e sostegno con le popolazioni locali coinvolte nell'accoglienza del viaggiatore, con le minoranze etniche e con chi ogni giorno deve far fronte alla rigidità della vita.
A coloro che non amano l’uomo di meno, ma la Natura di più, perché la natura è rispettata e protetta dal turismo di massa.
Ai viaggiatori che preferiscono lasciarsi trasportare, sgravandosi così di ogni pensiero organizzativo, per tuffarsi nel paese come tra le pagine di un libro affascinante.Il pullman si ferma, siamo arrivati a destinazione. La nostra intervista finisce qui.
Grazie per aver regalato al mio viaggio la sua terza vita; perché è proprio vero, ogni viaggio lo vivi tre volte, quando lo sogni, quando lo vivi e quando lo ricordi.
E ogni mio ricordo deve soffiarmi nel cuore, solo così riesco a parlarne.